Se il dissenso è un reato
di EZIO MAURO
Davanti a una protesta per la riforma della scuola che si allarga in tutt'Italia e coinvolge studenti, professori, presidi e anche rettori, il Presidente del Consiglio ha reagito annunciando che spedirà la polizia nelle Università, per impedire le occupazioni. La capacità berlusconiana di criminalizzare ogni forma di opposizione alla sua leadership è dunque arrivata fin qui, a militarizzare un progetto di riforma scolastica, a trasformare la nascita di un movimento in reato, a far diventare la questione universitaria un problema di ordine pubblico, riportando quarant'anni dopo le forze dell'ordine negli atenei senza che siano successi incidenti e scontri: ma quasi prefigurandoli.
Qualcuno dovrebbe spiegare al Premier che la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica, non attentati al totem della potestà suprema di decidere senza alcun limite e alcun condizionamento, che trasforma la legittima autonomia del governo in comando ed arbitrio. Come se il governo del Paese fosse anche l'unico soggetto deputato a "fare" politica nell'Italia del 2008, con un contorno di sudditi. E come se gli studenti fossero clienti, e non attori, di una scuola dove l'istruzione è un servizio e non un diritto.
Se ci fosse un calcolo, le frasi di Berlusconi sembrerebbero pensate apposta per incendiare le Università, confondendo in un falò antagonista i ragazzi delle scuole (magari con il diversivo mediatico di qualche disordine) e i manifestanti del Pd, sabato. Ma più che il calcolo, conta l'istinto, e soprattutto la vera cifra del potere berlusconiano, cioè l'insofferenza per il dissenso.
Lo testimonia l'attacco ai giornali e alla Rai fatto da un Premier editore, proprietario di tre reti televisive private e col controllo politico delle tre reti pubbliche, dunque senza il senso della decenza, visto che a settembre lo spazio dedicato dai sei telegiornali maggiori al governo, al suo leader e alla maggioranza varia dal 50,17 per cento all'82,25. Forse Berlusconi vuol militarizzare anche la libera stampa residua. O forse "salvarla", come farà con le banche.
da REPUBBLICA
8 commenti:
Perfettamente d'accordo. Solo un appunto, lo stesso che mi pare di aver fatto sul blog di Albi:
Scrive Ezio Mauro: "...la pubblica discussione e il dissenso sono invece elementi propri di una società democratica..."
Niente da dire, ma allora perchè alcuni studenti che protestano (giustamente, a mio avviso) devono impedire ad altri, che protestare non vogliono, di continuare a seguire le lezioni?
Sono d'accordo, infatti è sbagliato impedire a chi vuole di frequentare.
Sarebbe da fare quello che, quando ero rappresentante di istituto, chiamavamo: Picchetto informativo.
Null'altro che un blocco, dove se vuoi passare, devi rispondere ad alcune domande (ovviamente nn di storia e geografia, ma sulla protesta) e se nn sai niente ti devi limitare ad ascoltare. Dopo di chè sei libero di decidere se entrare lo stesso o no.
Bella forma di violenza anche questa.
Nn capisco, che violenza c'è nell'obbligare qualcuno ad essere informato su quello che sta accadendo? Nessuno ha parlato di rimproveri o sfottò verso chi entra, ma semplicemente di domande e spiegazioni.
A meno che tu nn sia di quelli che preferiscono vivere nell'ignoranza e pensare solo al proprio orticello, ma un ragionamento del genere va bene solo per Robinson Crusoe.
Nel mondo civile, ti devi rapportare con gli altri e nn puoi permetterti di avere una mentalità del genere.
Essendo la libertà un valore fondamentale e, come diceva la Fallaci, un diritto prima ancora che un dovere, penso che uno non possa essere obbligato ad essere informato; penso che sia un suo dovere, ma che nessuno glielo possa imporre. Quindi se per mille ragioni lo studente che entra a scuola non è informato (o tu pensi che non lo sia) tu non sei nessuno - secondo me - per bloccarlo fisicamente e costringerlo ad ascoltare.
In ogni caso meglio questo che il picchetto classico; diciamo che un banchetto informativo sarebbe stato meglio. Ora tu magari mi risponderai: "Ma nessuno sarebbe venuto di propria volontà". Beh... riflettici. :-)
E' qui che ti sbagli. Spesso le persone, soprattutto i ragazzi vanno obbligati a fare qualcosa, soprattutto se si tratta di informazione, scolastica o di attualità che sia.
Non a caso si parla di scuola dell'obbligo, di frequenza obbligatoria etc... Sono forme di violenza anche queste?
Non estremizziamo il concetto. Qui non stiamo parlando della cultura di base, quella che la scuola dell'obbligo deve offrire.
Estremizzando, allora potrei dire: obblighiamo tutti a leggere, così siamo tutti più acculturati. Obblighiamo tutti ad aiutare gli anziani, così la società è migliore. E via di questo passo.
Se il ragazzino è testa di cazzo o non maturo a sufficienza per comprendere l'importanza di seguire gli avvenimenti che gli stanno intorno, prenditela coi suoi genitori e con la società delle Marie De Filippi e dell'Isola dei Famosi. E un po' anche con lui.
E infatti è proprio per prendermela con lui che si fa il picchetto informativo.
Anche se purtroppo, la maggior parte delle persone che se ne fregavano di quello che succedeva nel mondo, erano quelle che come vedevano in lontanza il picchetto, neanche si avvicinavano, ma alzavano i tacchi e se ne tornavano a casa, senza neanche sapere e chiedersi perchè 4 deficienti si erano alzati alle 6:30, per essere davanti alla scuola alle 7, per fare un picchetto.
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